Firenze, mobbing alla commessa neo-mamma: “Speravamo fossi sterile”

Mobbing am Arbeitsplatz - welche Rechte haben die Betroffenen? Die Verwendung dieses Bildes ist fŸr redaktionelle Zwecke honorarfrei. Veršffentlichung bitte unter Quellenangabe: "obs/Advocard Rechtsschutzversicherung AG"
Mobbing am Arbeitsplatz – welche Rechte haben die Betroffenen? Die Verwendung dieses Bildes ist fŸr redaktionelle Zwecke honorarfrei. Veršffentlichung bitte unter Quellenangabe: “obs/Advocard Rechtsschutzversicherung AG”

Un’ex commessa di un negozio di telefonia si è rivolta al giudice del lavoro del tribunale di Firenze tramite l’ex consigliera di Parità della Toscana, Marina Capponi, per denunciare la titolare dell’esercizio e il di lei marito per mobbing.

Tutto è cominciato quando la donna, quasi 40 anni, è riuscita a rimanere incinta, dopo numerose cure e tentativi, di due gemelline. Una volta concluso il suo periodo di maternità, la donna ha chiesto di poter rientrare al lavoro ma, secondo il racconto dei suoi avvocati, Francesco e Fabio Rusconi, le è stato caldamente consigliato dalla direttrice del negozio di non tornare affatto, dato che nel frattempo era stata assunta un’altra persona per ricoprire il suo ruolo.

Consapevole dei suoi diritti, la neo mamma si è comunque ripresa il proprio impiego, sperando che l’astio nei suoi confronti potesse scomparire col tempo. Così però non è stato. Dopo una richiesta di part time negata, le cose sono degenerate la mattina del 16 giugno 2010. Quel giorno, una delle due figlie della donna si era svegliata coperta da macchie rosse. La madre ha deciso di portarla dal pediatra per un controllo, e ha chiamato al lavoro per chiedere una sostituzione. La donna avrebbe dovuto ricoprire il turno 15.30-22.10, ma per non rischiare di presentarsi con un ritardo ha chiesto di essere sostituita da una collega. Con lei, nell’auto diretta all’ospedale, c’era anche la sorella, testimone della serie di telefonate che si sono susseguite quella mattina.

La direttrice del negozio, l’ha violentemente attaccata: «Per colpa tua e dei tuoi figli ho dovuto assumere un’altra persona, se non vieni al lavoro alle 15.30 in punto ti faccio il culo, mi sono rotta i c… di te e dei tuoi figli e non me ne frega un c… se tua figlia sta male. Procurati una fottuta baby sitter, vendi l’auto se non puoi pagartela, devi rientrare al lavoro di corsa e stai attenta perché questo è l’ultimo avvertimento che ti do».

Poco dopo, una visita in ospedale ha rassicurato la donna sullo stato di salute della figlia, e la signora ha subito chiamato l’azienda per comunicare che si sarebbe presentata puntuale alle 15.30.

Nel frattempo però la direttrice (rappresentata dagli avvocati Marco Tagliaferri e Andrea Bini) non si è calmata, e passa alle minacce: «Col tuo atteggiamento da mamma mi offendi, hai rotto con questa malattia, ricordati che ho soldi, conoscenze e potere per rovinarti, non mangio grazie al punto vendita e posso tirare fuori i soldi per farti il culo in due».

In una successiva telefonata, la direttrice del negozio rincara la dose: «Scordati il part time che mi hai chiesto, devi farti il c… a lavorare dato che sei una super mamma e hai voluto dei figli… vedremo quanto sei dura; ti ho assunto sperando fossi sterile ed è solo grazie alle terapie che me lo hai tirato in c…».

Come se non bastasse la mamma, successivamente licenziatasi, ha perso in primo grado il processo, ed è stata costretta a pagare le spese legali della direttrice e del marito. Secondo il giudice, infatti, le suddette telefonate rappresentavano solo “un deprecabile diverbio”. Pochi giorni fa, però, la Corte d’Appello ha deliberato a suo favore: quello che la neo mamma aveva subìto nel 2010 era da considerarsi “mobbing” e “discriminazione di genere”. La donna ha ricevuto un risarcimento di 10mila euro.

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