Fermo: ucciso dagli ultrà per aver difeso la moglie da insulti razzisti

Emmanuel Chidi Namdi, 36 anni, e la compagna Chinyery, 24, entrambi nigeriani, erano sfuggiti all’assalto di Boko Haram, dove avevano perso una figlia e i genitori. Si erano salvati anche da un’aggressione subita in Libia, prima di riuscire a sbarcare a Palermo. Durante la traversata, inoltre, Chinyery aveva abortito il figlio che portava in grembo.

Poi, finalmente, l’arrivo al seminario vescovile di Fermo, lo scorso settembre. L’incubo sembrava finalmente concluso. Emmanuel era convinto di avercela fatta, finalmente. Mai si sarebbe immaginato che a ucciderlo non sarebbero state le bombe, la guerra o il mare ma un ultrà italiano.

221636797-0f371eee-e698-45db-9f34-4d5127edf4eeSiamo a Fermo, in via XX Settembre, è il 5 luglio. Emmanuel e Chinyery camminano mano nella mano. Due residenti, ultrà della squadra locale, li vedono passare e cominciano a insultare Chinyery, chiamandola “scimmia”. Emmanuel chiede spiegazioni, e scoppia la rissa. Uno dei due ultrà, un 35enne già noto alle forze dell’ordine per altri episodi di violenza, abbatte il nigeriano usando un palo della segnaletica come arma. Quando Namdi cade a terra, lo finisce a calci e pugni. Uno di questi va “a buon fine”, causando un’emorragia cerebrale all’uomo e portandolo in coma irreversibile. Anche Chinyery viene picchiata, ma se la cava con una prognosi di 7 giorni.

Trasportato d’urgenza in ospedale, Emmanuel non ce l’ha fatta. Nel pomeriggio i medici ne hanno decretato la morte cerebrale.

Emmanuel e Chinyery erano stati uniti in matrimonio da Monsignor Albanesi con un antico rituale che tuttavia non li univa legalmente, almeno in Italia, poiché entrambi erano ancora in attesa dei documenti. Se la legge glielo permetterà, Chinyery darà il via libera per la donazione degli organi di Emmanuel. Organi che con molta probabilità salveranno la vita di un italiano, perché al contrario dell’aggressore del suo compagno, Chinyery non vede tutto o bianco o nero.

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