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Sacchetti biodegradabili: ecco perché etichettare frutta e verdura sfuse è una sciocchezza

Fatta la legge trovato l’inganno? Non in questo caso.

Da quando è in vigore la conversione del decreto legge Mezzogiorno 123, approvata il 3 agosto 2017, che prevede l’obbligo da parte degli esercenti di specificare nello scontrino il prezzo dei sacchetti biodegradabili ultraleggeri in cui vengono inbustate frutta e verdura nel banco freschi, molti italiani si sono sentiti “presi in giro”.

E qualche furbetto – o presunto tale – ha pensato bene di aggirare l’ostacolo etichettando singolarmente ogni frutto con la buccia acquistato, evitando il sacchetto e così il suo costo. Naturalmente, le varie “imprese” di questo genere sono state poi sbandierate con orgoglio sui social.

Peccato che non solo chi ha acquistato e singolarmente etichettato 7 mele e 5 banane se le sia dovute portare a casa sfuse, ma ha anche pagato, senza saperlo, ben 12 sacchetti inutilizzati! Già perché il prezzo del sacchetto (che varia dai 2 ai 10 centesimi a seconda del supermercato) viene per comodità addebitato al momento del passaggio in cassa del codice a barre. In pratica, un sacchetto per ciascuna etichetta.

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