Claudia Gerini critica la nuova Ruota della Fortuna con Gerry Scotti e Samira Lui: “una formula superata”. Ecco perché il dibattito sulla rappresentazione femminile in TV è tornato al centro.
Ospite del podcast Tintoria, Claudia Gerini ha acceso il dibattito sulla rappresentazione femminile nei programmi televisivi italiani. L’attrice romana ha criticato il nuovo format de La Ruota della Fortuna con Gerry Scotti e Samira Lui, definendolo “una formula ormai superata”.
La sua riflessione non si ferma ai singoli protagonisti, ma tocca il cuore del problema: una televisione che fatica a rinnovarsi e continua a proporre schemi di genere ormai anacronistici.
Ospite del podcast Tintoria, Claudia Gerini ha lanciato una critica incisiva alla rappresentazione femminile nei programmi TV italiani, definendo il nuovo format de La Ruota della Fortuna con Gerry Scotti e Samira Lui “una formula ormai superata”. Nel salotto di Daniele Tinti e Stefano Rapone, l’attrice romana ha messo a fuoco un tema che torna ciclicamente nel dibattito mediatico: il persistere dello schema del conduttore uomo affiancato dalla bella presenza femminile.
Per la Gerini, la riproposizione di questo impianto non è un dettaglio estetico, ma un sintomo di un’industria che fatica a rinnovarsi sul piano culturale. L’attrice ha citato esplicitamente l’iconografia televisiva legata alla “letterina” che gira le caselle, sottolineando quanto risulti distante dalle sensibilità contemporanee. La sua frecciata non è tanto contro i singoli interpreti, quanto contro un immaginario che si ostina a perpetuare ruoli codificati: un presentatore al centro e una valletta-simbolo ai margini. In questo senso, la definizione di “formula superata” indica l’urgenza di ripensare i format, non di demonizzare i protagonisti. Il messaggio è chiaro: la televisione generalista, per recuperare centralità culturale, deve aggiornare linguaggi, gerarchie e sguardi.
Nel cuore della conversazione, la Gerini ha articolato la sua posizione con esempi concreti, ricordando come ancora oggi “accenda la tv e veda la ragazza che va a girare la letterina tutta nuda”. Una rappresentazione che ha definito “anacronistica”, perché tradisce l’aspettativa di un pubblico che ormai chiede pluralità e complessità. La sua proposta è semplice e, proprio per questo, rivelatrice: “E uno dice ‘e chi ci metto a girare la lettera?’ e mettici un ragazzo, perché non ci può stare un ragazzo? O magari anche tutti e due, ma vestiti normali”.
L’idea di alternare o affiancare figure maschili e femminili, svincolandole dal ruolo decorativo, sposta il baricentro dall’ornamento alla funzione, dall’oggettivazione alla partecipazione. La chiosa “questa è una polemica che annoia mortalmente” non sminuisce il tema, ma ne evidenzia la stanchezza: doverlo ripetere nel 2025 è, di per sé, indice di ritardo. La critica della Gerini, dunque, non è moralistica; è una sollecitazione professionale a evolvere i codici, a valorizzare il talento al di là dell’estetica, a immaginare una televisione in cui ruoli e compiti siano definiti da competenze e carisma, non da stereotipi. In questo quadro, anche un classico come La Ruota della Fortuna può reinventarsi, riconoscendo che il contesto culturale non è più quello di trent’anni fa.
A corroborare il suo punto di vista, la Gerini ha richiamato la propria esperienza a Non è la Rai, laboratorio decisivo degli anni ’90 capace di lanciare volti e carriere. “Io quando ho fatto Non è la Rai avevo già 18 anni, ero una vecchia”, ha ricordato con ironia, definendo quel set “una sorta di accademia” dove si “lavorava, ballava, cantava”. Eppure, quell’avventura durò solo cinque mesi: la giovane attrice aveva già intrapreso la strada del cinema e scontò il pregiudizio dei provini dell’epoca, quando “chi faceva televisione non poteva fare cinema” perché “puzzava di televisione”. Il racconto illumina una frattura storica tra media e carriere che, ancora oggi, riemerge sotto altre forme: etichette, rigidità di casting, gerarchie tra palinsesto e sala.
Pur definendola “un’esperienza bellissima”, la Gerini ha ribadito quanto sia importante poter transitare tra formati e linguaggi senza stigma. È proprio da questo intreccio di memoria personale e analisi del presente che nasce la sua critica: se il sistema vuole trattenere e valorizzare talento, deve smettere di usare i corpi come segnaposto e aggiornare i rituali di scena. In altre parole, la sfida non è cancellare la tradizione, ma rigenerarla: aprire i format, miscelare i ruoli, normalizzare la parità sullo schermo. Solo così la TV potrà risultare, ancora una volta, popolare e contemporanea.