Minacce a Doina Matei, killer dell’ombrello: Selvaggia Lucarelli la difende

Doina-Matei-foto-facebook-205x300Il 26 aprile 2007, la romena Doina Matei uccise Vanessa Russo, colpendola con un ombrello in un occhio nel corso di una lite nella metropolitana di Roma. Accusata di omicidio preterintenzionale, la giovane rumena fu condannata a 16 anni di carcere. Doina ne ha già scontati nove, e ha ottenuto la semilibertà vigilata (cioè il permesso di uscire dal carcere di giorno per lavorare per poi rientrare in carcere ogni sera).

Qualche giorno fa, Doina ha “vinto” un permesso di 3 ore per fare quello che voleva. La giovane donna ha deciso di passarle al Lido di Venezia, dove si è fatta immortalare in alcuni scatti pubblicati su un profilo Facebook che il magistrato le aveva permesso di aprire per rimanere in contatto con amici e parenti.

Il profilo della 30enne romena è stato invaso da insulti e minacce di morte, tanto da suscitare lo sdegno della gossip blogger e opinionista televisiva Selvaggia Lucarelli, che ha deciso di dire la sua.

Prima di parlare di Doina e sputare sentenze emotive della serie “Carcere a vita” o “Pena di morte”, forse bisognerebbe compiere lo sforzo di sapere un po’ di più di questa storia. Capisco che si faccia prima a vomitare livore sul web, ma ogni tanto prendersi 5 minuti per documentarsi non sarebbe male. Doina Matei, la ragazza rumena a cui è stata sospesa la semilibertà per le foto al mare postate su facebook, ha avuto due figli maschi in Romania a 14 e 17 anni. Era poverissima e conduceva una vita evidentemente borderline. A 18 anni arrivò in Italia con un un’amica minorenne e fu costretta a prostituirsi. Insomma, una discreta vita di merda. Voleva guadagnare abbastanza per comprare una casa in cui riunirsi con i suoi due figli. Tre anni dopo prende la metro con un’amica, su quella metro c’è anche Vanessa con altre amiche. I due gruppi litigano per un posto a sedere. Ci sono delle spinte, Doina alza l’ombrello, lo mette in orizzontale, colpisce l’occhio di Vanessa. Vanessa muore. Una tragica fatalità provocata da un gesto violento, certo, ma di sicuro non pensava di uccidere. Doina, a 21 anni, viene condannata a 16 anni per omicidio preterintenzionale (cioè non voluto). Più o meno lo stesso numero di anni che ha vissuto. Schifosamente. Non proprio pochi. Se ne fa 9 in carcere dritti filati senza permessi. E’ una detenuta modello. Chiede perdono alla famiglia di Vanessa. Parla di Vanessa. Dice che andrà sulla sua tomba, che è il suo angelo, che non voleva ucciderla. Che le ha strappato la felicità. Scrive un racconto in cui racconta il dolore. La famiglia rifiuta (legittimamente) di crederle. Non la perdona. Dopo nove anni senza mettere il naso fuori dal carcere le concedono la semilibertà. Può uscire per andare a lavorare in un’associazione per ex detenuti. Pulisce, cucina, lava, lavori umili. La sera deve rientrare in carcere. È sempre puntuale, precisa. In virtù del suo comportamento per la prima volta dopo 9 mesi le concedono un permesso premio. Ha tre ore per svagarsi. Va al mare, al lido. Sorride. Mette due foto su fb. In base alle disposizioni del giudice può utilizzare il cellulare per comunicare con alcuni amici, parenti e persone incaricate di controllarla. Riguardo fb e il suo utilizzo non c’è alcuna indicazione. Non esistono neppure precedenti nella giurisprudenza. La gente, i giornali, i social, Gramellini e molti altri gridano allo scandalo. Urla. Forconi. Doina non ha diritto di mostrare la sua felicità. O forse di essere felice e basta. Il giudice decide che tramite fb è entrata in contatto con più persone di quanto non sia stato stabilito e sospende il regime di semilibertà, ma in realtà le ragioni della decisione si attendono per il 2 maggio . Doina torna in galera a tempo pieno.
Ora, Doina avrà fatto una scemenza. Avrà peccato di insensibilità. Non avrà compreso l’inopportunità di quel bikini e quel sorriso. A Doina però la legge non vieta di tornare ad avere tre ore di spensieratezza. Non vieta di tornare a sorridere. E noi che non siamo i genitori di Vanessa legittimamente offesi e indignati, abbiamo il dovere di non chiedere il rogo per qualche ora di felicità concesse a una ragazza che ha fatto una vita schifosa, che non ha avuto nessuno ad insegnarle il confine tra il bene e il male, che a 14 anni aveva un bambino attaccato a una tetta e a 18 qualche vecchio bavoso. Una ragazza che ha pagato e sta pagando il suo debito con la giustizia. Una ragazza che ha un figlio di 12 e uno di 15 anni e li puo’ sentire al telefono 10 minuti a settimana. Certo che viene da pensare a Vanessa e ai bikini che non indosserà più. Certo che viene da chiedere rispetto. Quello però andrebbe chiesto, al massimo, non di togliere la patente per la felicità a qualcuno. E la legge non dovrebbe assecondare l’onda emotiva. La pancia. I forconi. Datemi retta. Non mettetevi solo nei panni di Vanessa o dei suoi genitori. Nessuno è fortunato in questa storia, neanche Doina. E quel sorriso non le restituisce i 30 anni di vita buttati nel cesso. E’ solo un accenno blando, pallido di una qualche speranza di futuro. Un futuro lontano altri sette anni, per giunta.

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