Ilaria D’Amico: “Vi racconto come è nato il mio amore con Buffon”

Ilaria D’Amico, alla vigilia del ritorno in tv per commentare le partite degli Europei di Francia che cominceranno ufficialmente il 10 giugno, ha rilasciato un’intervista ai microfoni di Vanity Fair in cui ha raccontato come è nato il suo amore con Buffon.

ilaria-damicoILARIA D’AMICO E L’AMORE CON BUFFON

“Ho tollerato porcate di tutti i tipi, da persone che non facevano parte dei miei affetti. Ma se proprio da quegli affetti mi arriva una coltellata alle spalle, non lo dimentico. Se invece sbagli, ti abbraccio. Perché sbagliamo tutti. E perché è molto meglio essere autorevoli che autoritari”, si sfoga la giornalista che racconta alcuni aneddoti della sua adolescenza.

Mi piaceva stare in mezzo alla gente, alle feste in discoteca, e discoteca per mia madre significava una cosa sola: droga, aghi, cocaina, dissoluzione. La cocaina c’era, ma con me avrebbe potuto star tranquilla. Sa come mi soprannominavano le amiche? Digos. Ero la rompipalle che finiva per controllare gli altri. Non so se sia stata paura che qualcuno potesse approfittarsene o timore di non essere più padrona di me stessa. Ma alle feste mi fermavo al secondo bicchiere di vino e non ho mai avuto voglia di andare oltre. Poi magari ballavo fino alle 6 del mattino, ma lucida. Senza veleni”.

Sul suo amore con Buffon: “Qualcuno pensava che la storia d’amore con fosse improbabile? Me lo sono detta anch’io: “È impossibile”. Subivo lo stereotipo del calciatore. Un po’ per preconcetto, un po’ perché a volte i calciatori ci mettono del loro. Gigi per me era una commistione indefinita tra il campione di cui conoscevo le gesta e l’immaturo, se non il fascista che una volta, a Parma, aveva indossato una maglietta con la scritta “Boia chi molla”. Con certi eroi nazionalpopolari capita sempre così. La caz*ata che fai da ragazzo nel tempo assume una dimensione che, soprattutto se sei riservato e non ti racconti, tende a farti rimanere sempre uguale nel corso degli anni”.

L’amore è stato immediato: “Colpo di fulmine. Prima di quella sera ci eravamo spediti tre sms in 15 anni. Una volta lo avevo ringraziato per essere venuto a dire la sua verità sul famoso gol-non gol di Muntari che aveva negato un probabile scudetto al Milan. Gli chiesi se avesse visto la palla dentro e lui rispose che no, ma che se anche l’avesse vista non sarebbe andato dall’arbitro a dargli una mano. Un putiferio, tutti maestrini: “Il capitano della Nazionale non può mentire”. “L’ipocrisia dominante mi fa orrore”, gli scrissi. Finì lì”.

Poi l’inizio della storia: “La clandestinità della storia è durata pochissimo, neanche tre mesi. Entrambi vivevamo una profonda crisi. Ci siamo incontrati in un momento emotivo simile, e ci siamo trovati”.

E la nascita del piccolo Leopoldo Mattia: “Col secondo è tutto diverso: sei già salita sul ring, e sai che non andrai al tappeto. Io sono stata nel letto di mia madre fino a undici anni, e quando è nato Pietro mi sono detta: “Non commetterò lo stesso errore, nel mio letto non lo faccio finire”. Mi alzavo ogni notte, a ogni pianto, ero distrutta. E finivo per dormire accanto a lui, stretta stretta. Siccome è simpaticissimo, un vero figlio ’e ’ndrocchia, sono riuscita a non detestarlo anche se non dormire è una tortura. Leo invece è finto. Non piange mai”.

 

Impostazioni privacy