Doc-Nelle tue mani, intervista a Pierpaolo Spollon: “Ho rubato la macchina per il primo provino”

La redazione di Sologossip intervista in esclusiva l’affascinante Pierpaolo Spollon, l’interprete di Riccardo Bonvegna in “Doc-Nelle tue mani”.

Pierpaolo Spollon intervista
Sologossip ha intervistato per voi il celebre Pierpaolo Spollon, attore di “Doc-Nelle tue mani” (fonte Instagram)

Andrà in onda tra poco la nuova puntata di “Doc-Nelle tue mani“, l’acclamatissima fiction che ha conquistato pubblico e critica. Tra gli attori che hanno fatto innamorare i telespettatori con le loro storie appassionanti troviamo il celebre Luca Argentero, la bellissima Matilde Gioli e l’affascinante Pierpaolo Spollon. Quest’ultimo presta il volto a Riccardo Bonvegna, specializzando in medicina costretto ad indossare una protesi a seguito dell’amputazione di una gamba. Pierpaolo Spollon è un giovane pieno di talento e dalle molte passioni, oltre che dalla grande gentilezza, simpatia e disponibilità. Ha concesso alla redazione di Sologossip un’intervista in esclusiva. Scopriamo cosa ha raccontato.

Doc-Nelle tue mani: intervista esclusiva a Pierpaolo Spollon

Pierpaolo, dalla tua biografia è chiaro che hai sempre avuto tendenze artistiche: raccontaci che tipo di bambino eri?

Per fortuna e purtroppo, ero un bambino di quelli che le altre madri dicevano “Perché non ti comporti come Pierpaolo?”. Ero sveglio, educato, simpatico, gentilissimo. Mi guardavano come se fossi un alieno gli altri genitori, ero il classico bambino modello. Mia madre mi vestiva come un principino, un po’ come il Principino George. Dovuto tutto a mia madre. C’erano cose che odiavo, mi metteva la calzamaglia, dei maglioni meravigliosi intrecciati.

Che tipo di rapporto hai con i tuoi genitori?

Abbiamo un rapporto di amore e odio con mia madre, ci sono delle incomprensioni figlie del fatto che siamo uguali. Mia madre è una persona estremamente emotiva, fantasiosa e artistica, ho preso da lei questo lato. La pensiamo in maniera diversa su tante cose, ma in realtà siamo molto simili, me lo dicono tutte le persone che ci conoscono. Amo mia madre, è una persona meravigliosa e una delle donne più buone al mondo. Io ho un carattere forte, lei fortissimo. Con mio padre invece la situazione è più tranquilla. Lui è una persona molto riservata, da lui ho preso la capacità di osservazione. Lo devo a lui, non parla tanto ma osserva e riesce a riconoscere le persone che si trova d’avanti. Una dote fondamentale anche per me, come attore, in questo mi ha aiutato mio padre.

Qual è stato il momento preciso in cui hai capito o deciso che la tua strada era la recitazione?

Credo che in questo mestiere anche gli attori più convinti, di alto calibro, vivano dei periodi in cui pensano di smettere. Chi decide di fare questo mestiere, che è talmente inafferrabile in certe situazioni, è sempre messo alla prova. Non voglio generalizzare. Filosoficamente, per me il momento credo sia stato durante l’Allieva, dove recitavo con attori del calibro di Alessandra Mastronardi, Lino Guanciale. Ci sono attori bravissimi, io sono in mezzo a loro, posso farcela, ho pensato.

Com’è stato lavorare con Alessandra Mastronardi e Luca Argentero, con chi hai maggiore intesa e affinità?

Non mi stancherò mai dirlo, con Alessandra il rapporto va al di là dell’amicizia e del campo lavorativo. Mi assumo “l’arroganza”, perché anche lei lo dice, di dire che c’è un’estrema naturalezza nel nostro rapporto quando recitiamo. Lo diceva anche il primo regista che ci ha messo assieme, Luca Liguori. La prima volta che ci siamo incontrati con Alessandra, ad un pranzo, Liguori ci disse “è come se vi conosceste da una vita”. Questo ci è servito per il ruolo dei fratelli. Ci viene estremamente naturale, sfido una persona a dire che non sembriamo fratelli.

Luca è un’altra tipologia di persona, è il personaggio fondamentale nelle combriccole, che non spinge l’azione comica ma ti da modo di farlo. Ha questa dote, il sorriso, l’autoironia, da sempre la sponda per fare una battuta e permetterti di ridere. Una funzione sociale pazzesca. Sono contento di averlo conosciuto, non abbiamo ancora esplorato bene il nostro rapporto per motivi indipendenti, lavorativi, ma entrambi aspettiamo il momento di far esplodere questa amicizia.

Raccontaci del tuo incontro con Alex Infascelli, quali emozioni hai provato?

Qualcuno oggi dirà: “Maledetto Alex Infascelli”, perché adesso sono spesso in televisione. Ai fatti è lui che mi ha fatto iniziare. Mi ha chiamato per un provino, sono andato a Trieste per il secondo provino. Per il primo avevo dovuto rubare la macchina di mia nonna per andare perché mia madre non voleva che ci andassi. Per il secondo mi ha accompagnato mio padre. Ero seduto in un bar accanto al posto in cui dovevo fare il provino e mi autoconvincevo che ce l’avrei fatta. Ho visto passare Infascelli e mi sono reso conto che parlavo da solo, rivolgendomi a lui. “Adesso entro e lo prendo, tu non lo sai, ma dentro questo bar c’è il ragazzo che sceglierai per fare il tuo film”.

Pierpaolo Spollon
Pierpaolo Spollon: gentilissimo e disponibile, dotato di una simpatia incredibile (fonte Instagram)

Hai partecipato a fiction molto apprezzate dal pubblico, come sono stati i casting per l’Allieva e Doc-Nelle tue mani?

Sono state due cose molto diverse, rispetto al primo provino, sia ne l’Allieva che in Doc, mi conoscevano già. Ne l’Allieva avevo già lavorato con il regista, Liguori, che inizialmente voleva vedermi per il ruolo che ha poi ricoperto Dario Aita. Che è uno dei miei migliori amici, una figura fondamentale nella mia vita. Il regista, amico di entrambi che ha lanciato entrambi, ci ha messo in lizza per lo stesso ruolo. Avevamo anche una scommessa con Dario Aita, io ero sicuro che il ruolo sarebbe andato a lui. Avevamo scommesso un viaggio (che mi deve ancora) in Cile da fare insieme, se io avessi indovinato che il ruolo sarebbe stato suo. Alla fine Luca Liguori ci ha confidato che fin dall’inizio pensava che io fossi giusto per il ruolo di Marco e ci aveva messo l’uno contro l’altro per gioco.

Per Doc, c’è un’altra connessione con Infascelli, perché la casting della fiction l’avevo conosciuta già con lui. Il provino è stato più sciolto. Io non bevo caffè e ricordo che per il secondo provino avevo bevuto un caffè ginseng, il primo, sono entrato ed ero talmente agitato che battevo i tacchi. Loro mi hanno detto “va bene, calmati, ci siamo con l’energia”, ma il ginseng mi faceva sentire a diecimila. Un giorno lo guarderò il provino, sarò sembrato un matto.

In quale personaggio senti di rispecchiarti maggiormente, Marco o Riccardo?

Tra i due forse Riccardo. Non lo so. Perché Marco ha questa esuberanza vitale, non ha paura di niente, affronta tutto, prende decisione avventate. Insegue il suo sogno nonostante crei dei problemi, non ha paura di fare niente per raccogliere i soldi che gli servono. Molto autodeterminato. Riccardo è meno autodeterminato e forse io, in questo senso, sono più come Riccardo. Marco ha capito la sua posizione nel mondo nella terza stagione, io e Riccardo dobbiamo ancora capire delle cose, ma ci stiamo arrivando.

Raccontaci un episodio divertente, particolare, accaduto su uno dei set su cui hai lavorato.

C’è da dire che spesso sono io che faccio ridere e cerco sempre cose divertenti. Per me uno dei sensi della vita è condividere i momenti e il potere della risata con gli altri. Questo ha un lato negativo, a volte mi scoppia da ridere e non riesco a fermarmi. Io sono molto serio sul set, però mi è capitato con due attori in particolare ho riso a crepapelle e i registi mi hanno sgridato. Una volta è stata con Ugo Dighero in Grand Hotel, durante la scena della crostata. Lui ha fatto una battuta e ogni volta che lo guardavo piangevo dalle risate. Al quinto stop hanno iniziato ad arrabbiarsi.

Poi è successo di nuovo sempre in Vite in fuga, un progetto che sta per uscire, con Francesco Colella. Lui è l’attore più serio che abbia mai conosciuto, ma sono riuscito orgogliosamente a convertire. Colella è un attore straordinario, preciso, invece io piano piano sono riuscito a farlo ridere e fare battute. Un giorno in particolare dovevamo fare una scena con Barbora Bobuľová e parlavamo di cose private con una voce particolare, ma che tutti capivano. Lei ci guardava come fossimo pazzi.

Pierpaolo Spollon, sogni per il futuro e ispirazione

Hai un sogno nel cassetto, un regista o un attore in particolare con cui ti piacerebbe lavorare o un obbiettivo preciso da raggiungere?

Come attore il mio sogno, che è abbastanza irrealizzabile, è fare un film in cui mi piaccio. Del quale non ho niente da dire, di cui sono soddisfatto al cento per cento. Io sono molto critico e la vedo come un’utopia. Un regista con cui vorrei lavorare sarebbe Jacques Audiard, regista francese pazzesco, credo sia nella mia triade di registi preferiti. Vorrei lavorare con lui per guardarlo, per osservarlo, per capire come lavora. Un attore, invece, sarebbe Pierfrancesco Favino. L’ho conosciuto velocemente grazie a Ugo Dighero, durante un loro spettacolo, ma non abbiamo parlato molto. Ho capito che è un attore molto metodico, molto preciso, che a me manca e avrei molto da apprendere.

C’è un personaggio, del passato o del presente, che è il tuo esempio o la tua ispirazione?

Charlie Chaplin, tutta la vita. Un attore e regista straordinario, un artista completo. Faceva come penso di fare anche io nella vita: fare dell’ironia il centro delle cose. Lui lo faceva con una poetica e una leggerezza che contraddistingue anche me. Riusciva ad affrontare tutti gli argomenti. Un artista da cui prendo ispirazione è lui. Ha detto “Un giorno senza sorriso è un giorno perso” che è il mio mantra in assoluto.

Come hai vissuto il periodo della pandemia?

Il periodo della quarantena è stato difficile come per tutti, ma sono un inesauribile ragazzo positivo, quindi cercavo di prendere quanto di buono la situazione terribile offriva. Stare a casa, godermi la famiglia, la possibilità di riappropriarmi del mio tempo. Dedicarmi alle passioni, finire i libri lasciati a metà, riascoltare i vinili che colleziono, imparare a cucinare qualcosa, prendermi cura delle piante. Fondamentalmente mi sono concentrato sulla possibilità di riprendermi il mio tempo e riflettere sulla direzione che stiamo prendendo come società. Sulle problematiche, come quella ambientale e sociale.

Una domanda che non ami e una che ti piacerebbe ricevere

Non amo particolarmente le domande sul mio privato, inteso come sentimentale. Capisco la curiosità, è legittima, è normale che venga chiesto. Per quanto parlo, una domanda che vorrei ricevere non saprei individuarla. Ho troppo da dire, meglio che non azzecchino la domanda giusta o ci scriviamo un libro.

 

Intervista a cura di Angelica Gagliardi

 

 

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